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mercoledì 4 gennaio 2012

Jack Kerouac è morto

Jack Kerouac è morto, eppure lo sento particolarmente vicino a me. E questo nonostante le nostre due generazioni non si siano mai incrociate. Certo, non ho mica detto di essere in qualche modo un suo “alter-ego”, dato che non avrei le fondamenta per dirlo.
Primo, qualche caso studiato da Ian Stevenson e la ferma convinzione per i Drusi che essa sia reale non mi hanno del tutto convinto che la reincarnazione esista. Tra l’altro lui è morto nel ’69 e io sono nato nell’86 e 17 anni mi sembrano un po’ troppi per reincarnarsi, dato che quei mattacchioni dei Drusi stessi credono che essa sia istantanea, o almeno così dovrebbe essere.
Secondo, lui è diverso da me. Abbiamo una sensibilità comune e un modo comune di vedere le cose, forse sento più lui vicino a me che qualsiasi altra persona io abbia mai conosciuto da vivo (e lui da vivo non l’ho mai potuto conoscere). Eppure lui viveva negli anni ‘50, io vivo in questi “cazzo di anni zero” come dice la buon’anima di Brondi.
Terzo, lui ha lasciato l’università e ha fatto tutti i tipi di lavori possibili, seguendo le orme di Jack London. Viveva alla giornata e frequentava amici poeti e circoli letterari. Era mezzo cristiano e mezzo buddista. Ha vissuto sulla strada e per la strada. Io sono ancora uno studente, non ho nessuna esperienza lavorativa che non sia dare ripetizioni d’inglese a mio fratello e disegnare teste di cavallo con Photoshoppo, non seguo le orme di nessuno e tantomeno le mie, sono un quarto cristiano, un quarto animista, un quarto gustavorollista e un quarto nonsocosa, non ho amici poeti ma solo amici “aspiranti poeti”.
E quel sogno coast-to-coast da New York a San Francisco ancora continuo a sognarlo (sennò che sogno sarebbe se poi si avvera?).


Non so bene come mi nacque questa passione per Kerouac. Mi ricordo che comprai i Vagabondi del Dharma nel 2006 senza sapere nemmeno lontanamente cosa fosse la beat generation e solo perché in quel momento avevo voglia di leggere qualsiasi cosa di un autore che si chiamasse “Jack” solo perché avevo appena letto i racconti dei mari del sud di Jack London e stavo già per dichiarare a cielo aperto il mio ménage à trois tra me, lui ed Ernest Hemingway.
Quando comprai quel libro mi innamorai. Ancora oggi questo è uno degli episodi che mi fa credere che il destino esiste, e se una cosa deve succedere succede. Potevo comprare un giallo di Agatha Christie solo per capire una volta per tutte che tipo era questo Poirot, potevo comprare una qualsiasi pubblicazione su San Pio da Pietrelcina per conciliarmi il sonno, un romanzo di Follett giusto per dimostrare a me stesso che 37658997 pagine lette in una settimana potevo sostenerle anch’io, o perché no un qualsiasi libro sulla cucina del pesce spada e derivati da regalare a mia madre o a qualche zia.
E invece macché. Quel pomeriggio comprai “I Vagabondi Del Dharma”, classe 1958. Lo leggo continuamente (soprattutto i capitoli dal 15 al 19) ma ogni volta ho sempre l’impressione di non averlo compreso appieno. È proprio questo, secondo me, che rende speciale un libro.