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mercoledì 1 dicembre 2010

Una concezione umana del camminare

Provo sempre una strana sensazione prima di entrare a Milano Centrale. Come se sentissi già l’odore dei piccioni che sovrastano i pali della luce e del sudore di impiegati grassocci che si fermano alla Mondadori per i 10 minuti della pausa pranzo.
 
Ogni volta, il treno passa in questa grande galleria corridoio buio e sfocato e immensa stazione spaziale dell’eternità, eterna come il meccanismo di una città che non si ferma mai e ingrana sempre più fino a contorcersi nei suoi stessi movimenti. Più la vedo e più mi convinco che Milano non sia una città. E’ una macchina. Se Gaia è un essere vivente, Milano è proprio una gigantesca fottuta macchina.
E quando scendi da lì ti senti travolto da un fiume di gente che è come se fosse sputato dal treno per essere inghiottito dalla metropolitana, come due puttane che si passano la saliva da una bocca all’altra, e tu rifletti di camminare per le stesse strade percorse da Hemingway negli anni ’40 e intorno c’è solo desolazione.
Una palude che può mettere alla prova qualsiasi filantropismo. 
Eppure una sottile emozione mi pervade perché ricordo di tutte le volte che passavo da qui per andarmene in giro per l’Europa ed era una tappa obbligata come la Route 66 per il coast-to-coast. L’oscurità finta della metropoli che non dorme mai (anche se ogni tanto dovrebbe). 

Piazza Duomo era come me la ricordavo. Grande e piena di gente. Uno schermo gigante proiettava immagini di fiori dai volti umani che cantavano qualche pubblicità di un qualsiasi prodotto uscito da una qualsiasi fabbrica milanese del cazzo mentre la gente in piazza si preparava ad un comizio di Beppe Grillo e i piccioni scagazzavano dappertutto e forse gli unici che in quel vivai non ti guardavano con odio erano i giovani ragazzi neri che cercavano di vendermi le loro cianfrusaglie taroccate che mai e poi mai avrebbero potuto essermi di qualche utilità, e mi sembrava troppo spendere qualcosa anche solo per togliermeli dai piedi. Scappai verso il duomo. Lo osservai, come si fa con una ragazza che ti affascina al primo sguardo. C’erano uomini e santi, demoni ed angeli, un’orgia di immagini e squisite fantasie cattoliche ammalianti e prorompenti di una maestosa eleganza. In quel momento lo amai. E rimasi a guardarlo come se intorno a me non ci fosse nessun altro.
Entrai in un bar a comprarmi una limonata e cercai di perdermi negli occhi di due ragazze che sedevano vicino a me mentre una si riposava sulle ginocchia dell’altra. Ero seduto sulle scale del Duomo, ad osservare la gente, e ogni tanto tiravo qualche sorso. C’era una donna che distoglieva la mia attenzione seduta alla mia sinistra. E parlava al suo telefono e tirava su con il naso, e più parlava e più sembrava che fosse la persona più piccola e infelice su questa terra.
“Non ne posso più! Mi dici cosa ho fatto? Eh? Me lo dici? Si… sono in centro a Milano… Dimmi cosa ho fatto. Gli avevo solo chiesto un favore e lui mi ha fatto passare i guai con il mio capo. E quelle serpi sempre a parlare. Non urlare mi dicevano! Io urlo quanto mi pare, se qualcuno mi aggredisce io urlo! Mi veniva voglia di dirle chiuditi quella boccaccia di merda! Si ora mi sto sfogando con te perché non sapevo chi chiamare… Si, sto in piazza Duomo…”
Si alzò e se ne andò. La guardai allontanarsi cercando di studiare il suo passo. Aveva il passo più infelice che avessi mai visto. Camminava come fosse un’ automa costruito ad hoc per essere produttivo ed efficiente. Ma camminava anche come se le sue emozioni gli impedissero di andare avanti in automatico per l’eternità. 

E se vi chiedete come faccia la camminata di una persona a rivelare tutto questo su di lei, è perché non avete una concezione molto umana del camminare.

2 commenti:

  1. la verità è che sei un inguaribile ficcanaso.

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  2. Il ficcanaso si fa gli affari altrui (come se i propri non fossero sufficienti), nel mio caso si dice semplicemente "curioso":-D è la curiosità che ti porta a scoprire le cose, è positiva finché non diventa indiscreta

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